Non solo una questione di donne
Di Tatiana Pellegri-Bellicini
Abbiamo da poco ricevuto la conferma del finanziamento da parte dell’Ufficio Federale dell’Uguaglianza per il proseguo del progetto Sigrid Undset. Nella prima parte aveva come finalità il promuovere le pari opportunità in ambito professionale, e per questo abbiamo realizzato delle emissioni televisive, articoli, dibattiti e una mostra fotografica. Da una ricerca effettuata all’inizio dell’anno scorso dal CIRM (Centro Internazionale Ricerche di Mercato), è emerso che molte persone sono state raggiunte da questa prima campagna formativa-informativa. Tra gli intervistati una percentuale significativa, sosteneva che bisogna continuare a lavorare per promuovere le pari opportunità. Da qui è nata l’idea di proseguire su questa via.
A partire da quest’estate comincerà la realizzazione di un film suddivisibile in quattro parti che potranno essere utilizzate singolarmente, dove tramite la fiction saranno messe a tema alcune discriminazioni che le donne subiscono in ambito lavorativo. Per la promozione del materiale, che sarà correlato a delle schede didattiche, Caritas Ticino collaborerà con differenti membri del comitato promotore che grazie alle loro competenze, diffonderanno questo materiale nei diversi ambiti della nostra società civile.
Ma perché Caritas Ticino si occupa delle donne, la carità è forse femminile oppure Caritas è diventata femminista?
In questo secolo la condizione femminile ha subito dei mutamenti essenziali: la speranza di vita all’inizio del secolo, per una donna, era di 26 anni circa, ora siamo a oltre 85 anni. Tante donne sono morte per le conseguenze del parto, oggi questa possibilità è praticamente azzerata. All’inizio del secolo una bambina avrebbe frequentato a malapena le scuole elementari, oggi le laureate sono pari ai laureati. Divenuta adulta la bimba d’inizio secolo non avrebbe potuto votare e avrebbe avuto bisogno dell’autorizzazione del marito per gestire i suoi beni. Attualmente nei paesi del Terzo mondo le bambine non possono ancora accedere ad un’istruzione, provvedono al sostentamento della famiglia con lavori umili e faticosi, sono considerate, a volte, merce di scambio. Alle nostre latitudini, sebbene la realtà sia completamente differente da quella dei paesi poveri, le donne subiscono ancora delle discriminazioni, infatti, tra i poveri, gli sfruttati e gli analfabeti le donne sono in maggioranza. Nel lavoro, la differenza dei salari è forse la discriminazione più evidente, ma non l’unica. Alle donne spettano spesso i compiti più ripetitivi e meno qualificanti, così quando si tratta di assumere dei ruoli con più responsabilità non hanno le qualifiche adeguate. Nelle formazioni, vi sono dei tradizionali modelli formativi per la donna che sono volti a perpetuarne una posizione subordinata e svalorizzata sia sul piano economico, che culturale e sociale. Spesso lavorano a tempo parziale, per conciliare lavoro e famiglia, lavorare a tempo parziale è faticoso e la percentuale retribuita spesso non è quella effettiva. Non è affiancata da strutture adeguate, la maternità non è considerata come un valore sociale ma come un temibile destino, quando lavora se i figli si ammalano è un pasticcio se nelle vicinanze non ci sono i nonni o una vicina gentile. Se si passa dal mondo del lavoro retribuito, al lavoro domestico, la ripartizione delle responsabilità si ribalta improvvisamente: la donna resta sempre l’indiscussa reginetta delle pulizie, del bucato, della spesa, dei fornelli e dei pannolini. Anche nelle classi superiori, se durante gli studi ci si dividevano le mansioni domestiche, dopo il matrimonio, i figli e la cura della casa sono quasi esclusivamente sulle spalle della donna, anche se lavora come suo marito. E questo in tutte le stratificazioni sociali, anzi quasi peggio se il lavoro non è una necessità finanziaria ma una realizzazione personale.
E tutte le donne che si dedicano esclusivamente alla famiglia e alla cura della casa?
Se domandate
ad un bambino che cosa fanno il papà e la mamma egli vi risponderà che il
padre lavora e la madre no, è a casa, e non solo i bambini. L’altro giorno
ho sentito sul bus due persone che dialogavano e una diceva all’altra: no,
mia moglie non lavora, si occupa dei figli, come se questo non fosse un lavoro!
Ricordo mia nonna, la guardavo da bambina accovacciata nell’orto a raccogliere
l’insalata o affaccendata attorno al forno a legna quando a Pasqua preparava
le focacce per l’intero vicinato. Si, tutte le donne come lei, consumate dal
lavoro, invecchiate dal sole e dalle gravidanze continue, con i capelli canuti
raccolti in una treccia arrotolata dietro la nuca, sono state le donne che
hanno costruito con la fatica quotidiana la nostra società, paradossalmente
erano le donne che non lavoravano… Adesso invece alcune lavorano cioè, percepiscono
un salario. Le ore si sono moltiplicate, perché dopo una giornata di duro
lavoro, quando torna a casa deve ricominciare, la cena, la casa in disordine,
i compiti dei figli, le fatture da verificare. Caritas Ticino si occupa o
meglio si preoccupa per tutte queste donne, e questa volta in linea con l’idea
di formare-informare investendo energia e intelligenza nei mezzi di comunicazione,
perché siamo convinti che per cambiare realmente le cose occorre un cambiamento
culturale e di mentalità. È vero si possono sostenere, ed è giusto farlo,
situazioni difficili che si presentano ad esempio al servizio sociale, cercando
finanziamenti, un lavoro, un’occupazione, una formazione, una persona che
si occupa dei bambini, ma questo equivale a mettere un cerottino su di una
grande ferita. Allora mettiamo anche i cerotti, ma cerchiamo soluzioni innovative
che permettano di edificare una società che valorizzi le differenze e le capacità
di ognuno, che sappia suddividere i compiti e le responsabilità così da rendere
possibile la costruzione di una vita e di una relazione tra i sessi in cui
la dignità e l’originalità di entrambi siano riconosciute e valorizzate.